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3 paradossi che cambiano tutto: il Digital è morto, lunga vita al Digital.

ottobre 5, 2014
Giovanni Pola . Digital marketing . customization, Digital engagement, ecommerce . Lascia un commento

Mai come ora i CEO e i Chief Marketing Officer di piccole e grandi aziende stanno cercando soluzioni nuove, fresche e concrete per far leva sull’innovazione digitale per uscire dall’impasse della crisi.

Eppure alcuni paradossi di fondo rendono difficile la comprensione delle forze in atto e delle strategie più adatte al loro sfruttamento ai fini di business.

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1) il paradosso del Paid Engagement

Ovvero essere costretti a pagare per ottenere quello che dovrebbe essere coinvolgimento spontaneo (engagement) dei propri clienti, con buona pace dei Social Media Manager.

Già da prima del Cluetrain Manifesto, le aziende hanno vissuto anni sforzandosi di sfruttare a fini economici le nuove forme di socialità digitale, eppure oggi i social network (Facebook, Twitter fra tutti) per i brand sono 99% paid media (mezzi pubblicitari a pagamento) e 1% earned media (mezzi che sfruttano il passapaola online grazie all’engagement degli utenti internet).

Se da una parte nei consumatori si è consolidata la legittima aspettativa di un dialogo e di un coinvolgimento profondo da parte delle aziende fin dalla creazione del prodotto/servizio, dall’altra invece il contenuto diffuso (con notevoli sforzi economici) dalle aziende nei circuiti social, spesso non è che propaganda auto-referenziale che si riassume in due parole: gattini e concorsi. Le iniziative veramente coinvolgenti sono rare e le aziende si trovano nel loop di dover alzare sempre più gli investimenti sui social media nella convinzione di rispondere alle istanze dei propri consumatori, in realtà tradendole alle fondamenta.

Eppure la condivisione oggi è molto più di un’attitudine a chiacchierare su internet. La sharing economy è una realtà: sia beni materiali (appartamenti, macchine) che immateriali (brevetti) vengono condivisi dalla gente.  le aziende che abilitano concretamente queste forme di business (che dalla rete ricevono soltanto il supporto tecnologico) stanno diffondendosi e, cosa ben più importante, fatturano soldi veri.

The Kardashian Sisters Promote Their New Fashion Line "Kardashian Kollection" At Sears

2) il paradosso dell’eCommerce senza la “e”

Ovvero l’impossibilità di scindere le proprie strategie di vendita online da quelle offline, con buona pace degli eCommerce Manager.

Ho intervistato più di 10 responsabili eCommerce Italiani nell’ultimo mese: hanno tutti lamentato la difficoltà delle aziende a inserire l’eCommerce stabilmente nelle strategie aziendali. Qui nasce il paradosso: se è vero che l’Italia vive un ritardo cronico nell’adozione dell’eCommerce e quindi la battaglia portata avanti da questi manager è più che lodevole, dall’altra per assurdo è anacronistica. È sempre più consolidata in tutti gli analisti la convinzione che l’eCommerce è solo un piccolo pezzo di una strategia complessiva di approccio alla vendita e che il suo valore non lo si può calcolare solo in funzione del fatturato dell’online. Brian Walker, analista di Forrester Research, ha affermato che “La e di e-commerce deve sparire”. L’era dei conflitti di canale è finita perchè “Le aziende sono ancora organizzate per canali, ma il consumatore no”. Così gli investimenti annunciati perfino da un colosso delle vendite digitali come Amazon vanno tutti a supporto di una logistica più efficiente e sulla creazione di punti di contatto fisici e centri di distribuzione.

3) il paradosso della Personalizzazione di Massa

Ovvero come il mondo necessiti la personalizzazione estrema, ma nello stesso tempo ne sia vittima, con buona pace della privacy.

I prodotti su Amazon sono troppi perchè un utente possa trovare da solo quello più interessante per lui. I post delle aziende e degli amici su Facebook sono troppi perchè un utente possa leggerli tutti e individuare da solo cosa potrebbe interessargli, i contenuti su Google sono troppi perchè un utente possa decidere da solo cosa debba finire nella prima pagina dei risultati. Per questo motivo esistono i filtri.

Ora ripetete con me “il filtro è mio amico, il filtro mi vuole bene, nessuno userà il filtro se non per offrirmi un servizio migliore”. Sì, stiamo parlando di un mero atto di fede: tutti si fidano ciecamente delle informazioni filtrate, pochi si rendono conto dell’esistenza del filtro, pochissimi sanno come funziona, nessuno ha il controllo sul suo funzionamento. Eppure i filtri sono in grado di governare la nostra realtà: i nostri acquisti, le nostre amicizie, le informazioni a cui abbiamo accesso e le pubblicità con cui veniamo in contatto (i “filtri” basati sui cookie, le informazioni salvate direttamente nel nostro computer e disponibili agli inserzionisti in tempo-reale).

Il paradosso consiste in questo: la mole di informazioni governata da alcuni grandi player rende obbligatorio fornire servizi personalizzati sulla base del profilo degli utenti (filtri), che altrimenti navigherebbero per giornate intere alla ricerca dell’informazione davvero utile, dall’altra queste stesse informazioni sono più o meno a disposizione delle aziende che investono in advertising digitale.

Attenzione: se scrivo un’email parlando dei cuccioli appena nati in casa mia, potrei venire attirato mezz’ora dopo da un messaggio pubblicitario “casualmente” riguardante un certo cibo per animali. L’inserzionista non conosce il nome e cognome dell’utente e l’utente nel 99% dei casi non capisce che quel messaggio è visibile da lui e non da altri perchè la sua mail è stata letta da un server di pubblicità. Fra addetti ai lavori il confronto sul fatto che questo meccanismo violi o meno la privacy è in corso, nel perdurare però dell’ignoranza dell’utente finale.

La personalizzazione è quindi una realtà già vissuta in modo inconsapevole da miliardi di utenti nel mondo, ma, come nel caso dell’Engagement, del coinvolgimento, è diventata ormai anche un’aspettativa legittima del consumatore. I consumatori, avendo più o meno consapevolmente rinunciato all’attaccamento alla propria privacy, pretendono che i brand si organizzino non più “per cluster” ma considerandoli singolarmente. Le aziende più oculate sfruttano la mole di informazioni disponibili per una pubblicità più mirata, ma quanti hanno una strategia di personalizzazione vera e propria? Chiedete ad un CEO o a un Marketing Manager “se avessi una bacchetta magica in grado di conoscere perfettamente uno per uno tutti i tuoi consumatori, cos’avresti da offrire a ciascuno di loro singolarmente”? In pochi hanno una risposta a questa domanda, eppure la bacchetta magica è lì, a disposizione di tutti.

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Conclusioni

Cos’hanno da insegnarci questi 3 paradossi? Ho paura che la risposta suoni.. altrettanto paradossale

1) Il digitale ha tradito le aspettative 

Per un’azienda essere su Internet non significa avere automaticamente contatto con milioni di persone disposte a chiacchierare con te (bisogna pagare per questo), aprire un negozio online non significa superare la rete fisica, la concessione di una mole enorme di informazioni personali non ha abilitato la creazione di prodotti e servizi personalizzati da parte delle aziende.

2) il digitale ha rispettato le aspettative 

Ho in tasca (sul polso, fra poco nel bavero della giacca) miliardi di informazioni, posso comunicare contemporaneamente con centinaia di amici, posso comprare ciò che voglio quando voglio senza muovermi di casa. Di più posso usare beni senza averne la proprietà, posso usare monete virtuali che superano il denaro contante, con una stampante 3D potrò crearmi in casa l’oggetto di cui ho bisogno comprando solo l’idea e non la sua realizzazione…

3) il digitale è morto, viva il digitale

In ultima analisi il mondo è diventato troppo complesso per segmentarlo in cosa è “digital” e cosa no: il digitale in senso stretto ha manifestato enormi limiti di sistema, ma oramai vive nel suo portato culturale e nelle legittime aspettative dei consumatori.

Una strategia “digital” è, quindi, innanzitutto volta a rispondere a queste esigenze (engagement, commerce, personalizzazione) “nonostante” i limiti e i paradossi dell’attuale ecosistema.

In questo scenario i Ceo e i CMO sono chiamati ad un ripensamento completo e profondo del modo di essere brand e azienda. Molti Ceo come Vittorio De Stasio sono d’accordo con me su questo.

Quali altri paradossi ci siamo dimenticati? Suggeriscimeli nei commenti!

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